Inico Camico Cocalo. Indagini e altre liberalità.

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Voglio raccontare di come e quando, in questi miei giorni a Menfi, mi sono lasciata attraversare dalla narrazione del mito, dalla storia di Dedalo, Cocalo e Minosse.
Il racconto prende vita dal luogo più improbabile di questa casa-officina di Agareni in cui ho trascorso solo tre giorni: il garage.
Un vero deposito di opere inedite, invenzioni, suggestioni.
La personale frantumaglia di Saverio, il suo laboratorio di idee, il magazzino delle fatiche, la bottega dell'architetto-artigiano dall'ingegno multiforme.
Saverio, una mattina, è entrato in garage a fare i suoi ripescaggi nella memoria; ne è uscito fuori con delle cose piccolissime, minimalia.

Microreperti, ritrovamenti, indizi, mosche che le aquile non vogliono catturare, ma che hanno un valore grande per noi che viviamo nel nostro regime de minimis.
Pepite di contezza.
Saverio mi mostra selci, punte, ossidiane, ossi, calchi, fossili.
Aspetta Saverio, mi serve il diario, per non perdere tutta questa pienezza particolereggiata!
Nel taccuino riporto la data: primo ottobre 2018.
Saverio canta le vicende del mito, dà voce al nascere del pensiero dell'uomo e anche al suo pensiero.
Io faccio spazio, svuoto la misura per far entrare la fiaba delle fiabe, il prodotto più luminoso della fantasia dell'uomo.
Scribacchio.

E ora che rileggo, lo vedo, è vero, Saverio ragazzo calmo, in fondo alla via di Inico a Menfi un giorno di quasi quaranta anni fa.
Calmo, in piedi, verticale, paro al palo della segnaletica stradale che riporta il toponimo Inico.
Le sento frullare nella sua testa, le seguenti domande
- E perchè Inico?
- E se Inico è, allora Camico dov'è?
Inico e Camico sono città nel mito attigue, l'una accanto all'altra.
Ancora le si cercano quì in questa parte della Sicilia, in queste terre bambine.
Bambine bellissime sotto le croste, sotto i capelli scarmigliati, nei loro cenci sbrindellati (cit. D. Dolci).
Camico è la città di Cocalo, re dei Sicani.
A Camico, Cocalo offre ospitalità a Dedalo dopo la sua fuga alata dal labirinto di Creta.
Dedalo e Cocalo fanno un patto in pieno spirito di liberalità.
Protezione in cambio di conoscenza.
Protezione offerta da Cocalo a Dedalo per difendersi da Minosse, che intanto furioso era già partito alla volta della Sicilia deciso a riprendersi il suo prigioniero.
Conoscenza dell'arte del costruire offerta da Dedalo a Cocalo che aveva bisogno di proteggere le sue ricchezze, di rinchiuderle in una fortezza difendibile.
Anche Saverio, ragazzo calmo di Menfi, aveva un bisogno, voleva darsi delle risposte.
-Quali potevano essere tutte queste ricchezze primitive?
- Perchè i Sicani arrivarono proprio in questa valle?
- Dove le nostre terre-bambine potevano offrire sopravvivenza e condizioni favorevoli alla vita?
Saverio indaga, lui ha degli strumenti sconvolgenti, scrorticanti... le sue mani intelligenti.
Rivolta la terra, cerca, trova.
Fiuta la vita sotto tremila anni di strati di terra, vita che ancora si muove.
Acqua, calore, terre ubertose.
Cave, villaggi, insediamenti prepianificati.
Così le indagini libere di Saverio si concludono con un interessante ritrovamento,  un sito che poteva assomigliare alla città con la sua cinta muraria al cui interno trovavano spazio delle capanne dotate di fondamenta e una necropoli.
Segni della migrazione di popoli provenienti dal Medio Oriente alla ricerca di migliori condizioni di vita, alla ricerca di terre fertili, di acqua.


Anche la risoluzione della vicenda fra Dedalo Cocalo e Minosse ha a che vedere con l'acqua.
Le figlie di Cocalo uccideranno Minosse soffocandolo con acqua bollente. Del passaggio di Minosse in Sicilia resta la fondazione di Minoa, l'attuale Eraclea Minoa sulla costa del mare.
Insomma sempre l'acqua, in tutte le sue forme: mare, fiume, lago, sorgente, fonte! Un archetipo fondativo della coscienza collettiva degli uomini.

Ma il mondo archetipico, si sa, è eterno e l'elemento acqua permea anche la storia recente di questi luoghi.
L'acqua è democrazia, l'acqua è pace.
Penso agli anni 50 e 60 dello scorso secolo, ai digiuni di Danilo Dolci per la costruzione della diga sullo Jato e sul Belice.
Penso al lavoro fatto con contadini e pescatori per la presa di coscienza dei propri diritti.
Penso alle assemblee, le marce, gli scioperi, le scritte sui muri.
La volontà di uscire dal fatalismo ed entrare nella pianificazione del benessere di tutti.
Voler sapere, voler capire.
Avere il coraggio di chiarire.
Impegnarsi per il cambiamento.
Saper sperimentare e muovere nuovi fronti.
Non vendersi, anzi darsi da fare per puro spirito di liberalità.
Liberalità, sostantivo femminile, strepitoso.
Virtù che si concreta nell'offerta spontanea dei propri mezzi a vantaggio del prossimo e della comunità.
Così parlando di questi capitoli, in questi giorni, del progetto stesso di continuare il lavoro nei campi, di coltivare la terra, rientra in gioco Renate, una maestra indiscussa di liberalità e partecipazione.
Renate è Pandora al contrario.
Lei scoperchia il vaso e semina i beni del mondo, che restino fra i mortali.
Renate sta sul campo, rimane laica e ara la terra perchè porti buoni frutti.
E se so vergare, quel poco, anche io, è perchè me lo ha insegnato proprio lei. Tutto torna.







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